Monday, June 8, 2009

San marc

Un mare di macchine dove un tempo passavano le barche: ecco piazza San Marco oggi, una bella e ampia piazza di Milano nel quartiere Brera, una delle più belle della città.
Mi sono trovata qui per caso, uscendo dalla pinacoteca Brera alla ricerca dell'entrata all'orto botanico. Mi sono del tutto confusa e, chiedendo aiuto al cameriere del piccolo ristoriante dove mi sono fermata a mangiare un'insalata caprese, cominciavo a temere d'averlo immaginato il giardino che cercavo. 'ma cerca i giardini pubblici?' mi ha risposto, regalandomi un'occhiata strana, come se andare al giardino pubblico (ammesso che esistesse) fosse un atto sconcio per una donna come me. Chissà, pensavo, cosa si fa nei giardini pubblici milanesi: forse è territorio di George Michael. Comunque le indicazioni che mi ha dato sembravano del tutto sbagliato. Milano davvero ha pochi spazi verdi, proprio come aveva affermata una signora svizzera incontrata sul treno quella mattina.
Ho girato un po' sotto il sole delle 15.00, tanto desiderosa di trovare se no l'orto almeno una panca o il piedistallo di qualche colonna all'ombra dove riposare un pochino. Infine ho ceduto al solito bar, ma i bar dopo pranzo sono sempre pieni di gruppetti o coppie, e ci si sente - o almeno io mi sento - quasi in colpa, sedendomi a prendere il mio espresso solitario. Una cosa bella ha Milano, in qualsiasi ora della giornata, anche sotto il sole scottante, c'è sempre movimento. Donne con sporte pesanti, dirette a casa, giovani col cell incollato all'orecchio, uomini in giacca e cravatto, con occhi cupi intenti su quel spazio che per un attimo hai occupato prima di passare. Io ho preso il caffé e mi sono di nuovo avviata. Camminare fa nascere la voglia di camminare in me, pare. Da quando sono qui non faccio altro, i piedi non mi fanno mai male, né la schiena, neanche i ginocchi, solo il cervello desidera fermarsi un po'.
Palazzi belli ma non nobili qua, sembrano quelli costruiti negli anni venti, una specie di complesso di case poplari. Chissà. Anche qui al centro la gente che lavora deve avere dove vivere, no? Non tutti possono fare il pendolare. Per il resto, alcuno bei bar e tutto pulito, rimesso a posto, bello. Caldo, certo, ma bello una piazza da vivere, anche di giorno, di notte dev'essere molto meglio.
Questa piazza era acqua cento anni fa. Il Tombon de San Marc, si chiamava in milanese. Faceva parte della rete dei canali di Milano, un'altro giorno ti racconterò i navigli, ma oggi soffermiamoci qua. Era una darsena, parola difficile per me, vuole dire dock or basin, un bacino allora, quasi si può dire un parcheggio per le barche, un punto in cui si poteva far riposare i cavalli che tiravano le chiatte. Qui si scaricava i rotoli enormi di carta per la stamperia del giornale milanese, nato durante la belle epoque, il Corriere della sera - abbastanza lontani gli uffici dei redattori, ma questa era una zona sia elegante che lavoratrice, e i canali erano un ricordo perpetuo degli operai e la manodopera necessaria a mandare avanti il bel mondo lombardo.
Si può immaginare gli odori: fieno e cavalli, carta acqua fango sudore, le barche, dette cobbie, basse nell'acquea, per poi tornare a galleggiare alto una volta liberate dal loro carico. E i rumori: saluti e gridi, notizie che arrivavanno insieme alla sabbia dalle città su Lago Maggiore. E il pianto di chi scopriva un cadavere, nella sciuma, il scumm del tumbun, questa la pronuncia milanese.
Tombone, Tombon, o tumbùn, si chiamava, per la presenza del cimitero dal quale scappava ogni tanto un cadavere, o per i poveri affogati, spariti nelle acque nere dei navigli grazie al bere o alla nebbia o a qualche disavventura, per poi riapparire in questo ristagno. Una fossa in ogni senso della parola, dunque. Ma non solo. La bella chiesa barocca di S. Marco contiene molti tesori in marmo ricordi di un patrimonio che nasce nel '200. Da bambino, Mozart fu ospitato per tre mesi nella canonica di S. Marco, e qui, per ricordare il primo anniversario della scomparsa di Manzoni, Giuseppe Verdi diresse per la prima volta la sua messa da requiem.
Ecco una poesia d'epoca: il sentimento illuminista, quasi dickensiano, inorridito e schifato dall'idea di una Milano arrettrata nei confronti di altre città europei, Parigi e Londra e Berlino forse senza capire che, come in quelle città, il 'grande Milano' - i palazzi eleganti, il giornale informativo, l'identità milanese stessa - non poteva nascere senza gli aspetti più ... mortali e puzzolenti come la darsena...
Sul gorgo viscido
chiazzato e putrido
sghignazza un cinico
raggio di sol;
quali augei profughi
fantasmi lividi
mesconsi, riddano,
levansi a vol.
Son baldi giovini
spenti, con vacue
forme, son vedove
tristi beltà;
carcami squallidi
di vecchi, macabre
parvenze, ruderi
d'umanità.
Quante speranze
cessar le danze,
quante esultanze
fransero qui!
Che mondi vividi
di luce e iliadi
d'affanno il baratro
cupo inghiottì!
Singhiozzi e rantoli,
ghigni frenetici,
empi monologhi,
beffardi suon',
ritmo satanico,
dal gorgo erompono;
il gorgo brontola
la sua canzon.
O gorgo, o luteo
gorgo magnetico,
o sciame lugubre,
che vuoi da me?
Voglio i dolori
gli spenti amori,
gli altri livori
che porti in te.
0 Scendi con essi!
Ne' miei recessi,
tra i freddi amplessi
ammaliator'della sirena
che l'incatena,
tace la pena,
cessa il dolor.
Gorgo maligno,
torvo, ulivigno,
0 gorgo sanguigno,
vaneggi tu?
Se un giorno amante
ti fui, l'istante
volge incostante
quel tempo fu.
Invan mi affascini,
gorgo; le torpide
malie mi prodighi,
sirena, invan;
la luce adoro,
amo e lavoro,
mi canta un coro
lieto il doman.
Ah! Se mai languano
nel cuor le imagini
care che irradian
mila via fatal,
e della vigile
fede che accondemi
0 i gufi stridano
il funeral,
soavi tossici,
tremendi fascini,
a me l'oblivio
rifiorirà;
chiamami, o gora;
quella che fia l'ora;
non vano allora
l'appel sarà.

Filippo Turati 1886

Anche i gufi cita... possiamo dire non era un fan dei navigli. Ma alla fine dell'ottocento, un nuovo mondo automobilistico sta per cambiare la città per sempre. Infatti la darsena non sopravvisse molto a lungo dopo il vergare di queste righe. Rimpianto da chi vorrebbe vedere uno specchio d'acqua qui al centro della città, chi come me si sente il bisogno si un pochino di verde tra tutto questo asfalto e mattonato, chi forse immagina quanto sarebbe bello avere una terrazza, un ristorante proprio qua, a due passi dalla Brera e le botteghe d'arte, accanto ad alcune delle strade più frequentate dai turisti. Non sarebbe male.

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